Non ridevo tanto da "Tre uomini in barca (per tacer del cane)" di Jerome K. Jerome. Leggendo, potevo quasi sentire la cadenza piacentina dell'autore. Una ventata di buon umore e di umorismo intelligente.
Dedicato a chi pensa che i Fichi d'India o il Bagaglino siano divertententi.
"Tra le disgrazie dell’umanità – diceva Neride Bisi – c’è che quando uno sente il bisogno irrefrenabile di dire una cosa intelligente, novantanove su cento poi la dice.
Da questa debolezza dipende la crisi del mondo moderno, diceva sempre Neride Bisi che per questo motivo aveva deciso di parlare solo quando era al bar o dal barbiere, che sono delle specie di aree protette, oasi ecologiche dove il parlare è indifferentemente un fatto di istinto o di divertimento o di abitudine, come fumare o giocare a carte o bere dei bianchi; tutte cose che lui faceva sempre volentieri, specialmente l’ultima.
Da questa premessa mio nonno Neride Bisi aveva tratto un’importante regola sociologica rivoluzionaria di cifra anarchica, cioè: che il parlare e il ragionare viaggiano su due strade diverse che non si incontrano, non c’è il collegamento, lo svincolo, il crocevia logico funzionale; di conseguenza, mancando il crocevia logico funzionale, le cose intelligenti vengono fuori solo per caso o addirittura per sbaglio, cioè tipo una volta su un milione. La teoria sociologica aveva poi anche un imprevisto risvolto macroeconomico, perché mio nonno Neride, con un passaggio un po’ ardito che non mi ha mai spiegato bene, diceva che a tacere tutti si migliorava il livello di benessere della società e si diventava ricchi, nel senso di fare i soldi. Lui, ricco, non lo è mai diventato."